Industria fotografica: i procedimenti di fotoincisione

La fotoincisione è una voce generica che serviva a indicare in passato dei procedimenti tipici dell’industria tipografica. In pratica, si provvedeva a incidere le lastre da stampa metalliche o anche la sostanza colloidale foto indurente con un elemento di stampa in rilievo. Per la preparazione della lastra stessa, poi, nel caso di originali a tono continuo, in un primo tempo si produceva il negativo retinato dell’originale stesso: quindi, si effettuava il foto trasporto del negativo attraverso l’esposizione del medesimo a contatto con uno strato di collide bicromato ricoprente la lastra. Per questa, i materiali più sfruttati erano lo zinco, il rame, l’ottone, l’elektron, mentre i colloidi generalmente usati erano l’albumina bicromatata, la colla di pesce e la gomma lacca.

Dopo aver sviluppato e ottenuto uno strato di colloide resistente agli acidi recante l’immagine positiva rovesciata, si procedeva all’incisione chimica o elettrolitica. Tra l’altro, si poteva effettuare la duplicazione della lastra mediante dei procedimenti di galvanotipia, stereotipia e plastotipia. L’incisione della lastra avveniva a piccola profondità e le zone scoperte risultavano attaccate da punti troppo piccoli perché l’inchiostro potesse aderire. Perciò, eseguito il primo attacco, l’immagine veniva cosparsa di magnesia per renderla visibile e confrontata con l’originale. Dopo aver protetto con delle vernici resistenti agli acidi le zone soddisfacenti, si approfondivano con dell’acido diluito le incisioni della parte scoperta, ripetendo il procedimento fino a ottenere il tono desiderato su tutta l’immagine.

Nel caso di originali al tratto si trasportava, con un apposito procedimento fotografico, un negativo sullo strato foto indurente che ricopriva la lastra. Col tempo si sono poi prodotte lastre anche di materiale plastico foto polimerizzabile o in materiale colloidale foto indurente, costituito da gelatina e da colloidi naturali o artificiali bicromatati, su supporto metallico. Il materiale colloidale diveniva insolubile e si induriva nelle zone scoperte a causa della trasformazione dei sali bicromatati, mentre le zone non colpite dalla luce rimanevano sostanzialmente solubili.