Estrazione e caratteristiche dello zinco

Quando si parla di zinco, bisogna subito precisare che quest’ultimo non si trova in nessun caso libero in natura. Sono vari i minerali più importanti che si possono tenere in considerazione in questo caso: si tratta, ad esempio, della blenda, vale a dire il solfuro di zinco, la smithsonite (l’altro nome che è stato affibbiato al carbonato di zinco) e la cosiddetta calamina (il silicato di zinco per la precisione). Come si procede all’estrazione di questo metallo così importante per l’industria? Anzitutto, si procede all’arrostimento della blenda stessa o alla calcinazione della smithsonite. In questa maniera si può riuscire a ottenere lo zinco o per via secca oppure per via elettrolitica.

Nel processo per via secca, l’ossido viene mescolato con il carbone e quindi riscaldato in modo forte in assenza di aria. L’ossido si riduce quindi a metallo e lo zinco, il quale bolle a 907 gradi, distilla. I vapori di zinco sono raccolti in delle camere dove si condensano in maniera opportuna. Di regola, questo zinco contiene come impurità l’arsenico e il cadmio e ha bisogno di essere nuovamente distillato. Nel processo elettrolitico, invece, l’ossido si tratta con l’acido solforico che lo trasforma in solfato di zinco solubile. La soluzione in questione viene poi filtrata e quindi sottoposta a elettrolisi, usando come anodi delle lastre di piombo e, come catodi, lastre di alluminio sui quali lo zinco si deposita sotto forma compatta.

Lo zinco è un metallo a struttura cristallina, di colore bianco argenteo con una tonalità che tende all’azzurro. A temperatura ordinaria è alquanto fragile, ma riscaldato a 120-150 gradi diventa più malleabile e si può lavorare. Al di sopra dei duecento gradi ritorna invece nuovamente fragile. Per quanto lo zinco si trovi abbastanza attivo, resiste abbastanza bene all’attacco degli agenti atmosferici, in quanto si ricopre di uno strato di ossido che lo preserva da ulteriori attacchi.