Il fenomeno della buccia d’arancio nei metalli

Il termine “buccia d’arancio” è molto comune in diversi ambiti, forse in pochi sanno che esso viene sfruttato anche in ambito metallurgico. Cerchiamo di capire per quale motivo. Quando si a che fare con dei fenomeni piuttosto evidenti di deformazione di un metallo di tipo policristallino (il caso più tipico è quello della piegatura di un piatto, ma anche quello della imbutitura di un laminato in acciaio) si tendono a creare nella maggior parte dei casi delle irregolarità. Tutto questo è molto più frequente nell’ipotesi in cui la dimensione dei grani risulta essere molto sviluppata, tanto che non sono rari i corrugamenti alla superficie; ecco perché si è soliti parlare di “buccia d’arancio” o anche, con gergo anglosassone, di “orange peel”, dato che i fenomeni in questione assomigliano molto alla struttura del frutto appena citato.

Tale accadimento, inoltre, si verifica anche in altre situazioni piuttosto specifiche, come ad esempio quando si hanno a disposizione delle provette di trazione e l’allungamento complessivo a rottura è molto alto. Come si può ovviare a una situazione del genere? I rimedi sono diversi, ma si possono selezionare i migliori in modo da comprendere quali sono le pratiche industriali più diffuse in questo senso. Il processo di parziale ricottura del metallo stesso trova una larga applicazione nel caso in cui vi sia una imbutitura che è piuttosto profonda, oltre ad essere realizzata in vari passaggi.

In effetti, esso consente per lo meno di ripristinare le caratteristiche di deformabilità del materiale che è coinvolto, nell’ambito dei passaggi intermedi, senza alcun rischio che si possa provocare uno sviluppo anormale dei grani, nelle zone soggette a un grado critico di deformazione. In questa maniera cos specifica è possibile evitare e scongiurare il fenomeno della buccia d’arancio, in particolare quella che si tende a formare nell’ultimo passaggio dell’imbutitura di un qualsiasi laminato.