Archeologia industriale a Roma: l’ex mattatoio di Testaccio

Uno dei più significativi esempi di archeologia industriale di Roma è senza dubbio l’attuale sede di Testaccio del Macro (Museo d’Arte Contemporanea di Roma): non si tratta di una semplice struttura museale, ma del perfetto recupero di una zona che un tempo era utilizzata per tutt’altri fini, i quali sono ancora intuibili nell’architettura e in quello che è rimasto dei vecchi edifici. Il riferimento non può che andare all’ex mattatoio della Capitale, il quale non era altro che una serie di padiglioni sfruttata per la macellazione e la commercializzazione di carni. La storia è alquanto affascinante e aiuta a comprendere e apprezzare meglio il museo nella sua forma attuale.

In effetti, sul finire del XIX secolo si provvide a ristrutturare e ampliare il complesso che fino ad allora era stato utilizzato proprio per la mattazione: tra l’altro, era necessario rispettare i nuovi standard igienici e venire incontro a un assetto urbanistico ben preciso. La zona di Roma prescelta fu quella in cui stavano già sorgendo residenze da destinare agli operai, con una forte vocazione commerciale e industriale dunque. Uno dei contributi più interessanti fu quello di Filippo Laccetti, l’ingegnere che diede vita al sistema per l’eliminazione degli scarti alimentari nel fiume Tevere. L’area in questione si è espansa fino alle dimensioni odierne, circa 25mila metri quadri, con un ingresso principale, vale a dire il padiglione che un tempo era usato per il dazio del controllo del peso del bestiame, e il lato opposto, quello in cui tipicamente si svolgeva il mercato della carne stessa.

La dismissione è avvenuta nel 1975 e varie ristrutturazioni e manifestazioni hanno avuto come risultato la forma moderna che possiamo ammirare. Ma nell’ex mattatoio non hanno trovato spazio soltanto il museo, ma anche alcuni uffici dei vigili urbani, aule universitarie e, a partire dallo scorso anno, un nuovo spazio espositivo, La Pelanda, dotato di ben cinque fabbricati.