La nascita dei quartieri industriali

Quelli che possono essere definiti come “quartieri industriali” non nascono, contrariamente a quanto si pensa, in concomitanza con la Rivoluzione Industriale.

Bisognerà infatti attendere gli ultimi anni dell’800 per poter parlare di zone omogenee e di nuclei veri e propri, un fenomeno che comincerà a interessare soprattutto l’Inghilterra e tutto il Regno Unito. L’iniziativa fu presa da alcune municipalità, in modo da creare una sorta di continuum tra la fabbrica e l’abitazione dell’operaio, come si legge e immagina chiaramente nei romanzi di Charles Dickens. Prima di questo momento, le fabbriche non facevano parte del tessuto urbano più importante, ma si trovavano dislocate su altre strade e principalmente in prossimità dei corsi d’acqua, in modo da sfruttare questa risorsa e la sua energia.

Poi si comprende che la vicinanza a vie di comunicazioni importanti avrebbe consentito un trasporto e un flusso più rapido di materie prime, oltre agli spostamenti degli stessi addetti alla produzione. C’è però da precisare che i centri tessili e siderurgici continuano a occupare le rive dei fiumi, in modo da sfruttare al massimo le potenzialità e i vantaggi dell’acqua. L’Inghilterra, soprattutto quella del nord, era costellata di città tutte uguali tra di loro, con stabilimenti estesi e opprimenti, e le abitazioni identiche ad esse nel colore e nella forma: il paesaggio dominato dall’industria non era dunque il massimo, senza tonalità e senza colorazioni che dominassero su altre.

Dove sorge in tutta la sua imponenza un impianto produttivo è necessaria la presenza di un solo stabilimento per dare una connotazione unitaria a tutto il resto: è in questo modo che la parola “industriale” diventa sempre più diffusa e si va a riferire a quartieri, città, distretti e persino intere regioni. Gli stabilimenti di quel periodo sono caratterizzati da fumo e fuliggine, rumori e rifiuti tossici che li circondano idealmente, uno dei principali svantaggi che ha apportato il progresso tecnologico.