Metallurgia: il ruolo dei convertitori

Il convertitore che viene utilizzato in ambito metallurgico ha una forma tutta particolare, piuttosto simile a una specie di rombo: il materiale con cui viene realizzato è refrattario e rivestito di lamiera, inoltre esso è girevole intorno a un asse orizzontale. Una volta che è stata introdotta la ghisa liquida alla temperatura di 1.300 gradi, il convertitore stesso si dispone con l’asse verticale, mentre dal fondo bucherellato viene immessa una corrente di aria a 2,5 atmosfere, la quale ha il compito di rimescolare in maniera opportuna il liquido e di bruciare il silicio, la manganese, lo zolfo, il fosforo, il carbonio e anche un po’ di ferro. Alla fine, poi, vi si aggiunge una certa quantità di ghisa manganesifera in modo da dare il voluto tenore di carbonio ed eliminare al contempo l’ossido di ferro che si è venuto a formare a causa della corrente d’aria in questione.

I convertitori metallurgici possono essere sostanzialmente di due tipi: la tipologia Bessemer presenta un rivestimento acido (mattoni di silice) usato con della ghisa siliciosa, mentre la tipologia Thomas vanta un rivestimento basico (mattono di dolomite calcinata) utilizzato con ghisa fosforosa. Senza il consumo di combustibile si ottiene acciaio fuso a 1.600 gradi a causa della combustione del silicio, del piombo e del ferro che sono contenuti nella ghisa stessa.

Tra l’altro, bisogna anche ricordare che la produzione dei convertitore tende normalmente a variare da cinque a trenta tonnellate: il volume di essi è di circa dieci volte quello dell’acciaio che viene prodotto. Il fondo in mattoni refrattari, invece, ha uno spessore da cinquanta a ottanta centimetri, con un centinaio di fori all’incirca di quindici millimetri di diametro. Per una tonnellata di ghisa si richiedono infine da quattrocento a cinquecento metri cubi d’aria; la scoria che si ottiene dal convertitore basico, ricca di fosfati, è sfruttata come fertilizzante, anche se l’acciaio è anche di mediocre qualità.