Industria tessile: l’importanza del lino

Il lino è la fibra del fusto di una pianta annuale, di altezza variabile ma mai superiore al metro, con foglie strette e appuntite; dai suoi semi si ricava un olio molto importante e di uso antichissimo. Tra l’altro, il termine italiano “lenzuolo” deriva dal latino linteolum, diminutivo di linteum, il quale significa proprio “tessuto di lino”, a dimostrazione della stretta correlazione tra questa fibra e l’industria tessile. La raccolta del lino per fibra viene effettuata andando a estirpare le pianticelle, le quali sono poi fatte essiccare al sole. Il passo successivo è la battitura (detta anche “sgranellatura”) degli steli, in modo da separarne le capsule e le foglie. Un’ulteriore fase è quella della macerazione, operazione piuttosto delicata, visto che è dal modo con cui si conduce che deriva la valorizzazione dei pregi della pianta.

Con essa, inoltre, si liberano le fibre dalle sostanze gommose che le tengono unite in fasci e unite alla parte legnosa della pianta. Il lino non è formato, come invece avviene nel caso del cotone, quasi totalmente di cellulosa, ma contiene anche lignina, grassi e altre cere. I filamenti sono lunghi in media non più di sessanta centimetri e sono composti da fibre elementari di alcuni millimetri di lunghezza, saldate tra loro attraverso delle apposite sostanze collose.

La classificazione della fibra avviene in base al paese di provenienza: possiamo quindi avere a che fare con i lini del Belgio, quelli delle Fiandre, quelli dell’Olanda, i tre migliori prodotti di tutto il continente europeo, mentre la Russia ha a lungo dominato la produzione mondiale. I filati di lino sono impiegati soprattutto per la confezione di tessuti fini e più pregiati, ma anche per la biancheria, le lenzuola, l’abbigliamento e l’arredamento, senza dimenticare le tele pregiate e più resistenti (le cosiddette “tele di Fiandra”), mentre con delle qualità meno pregiate si possono ottenere tele comuni di gran consumo.