I principali residui industriali degli oleifici

Una volta terminata la lavorazione industriale dell’olio, non rimangono che i suoi residui: da questi ultimi, comunque, è sempre possibile riuscire a estrarre altre qualità di olio, le quali sono in genere non commestibili, ma utili per diversi scopi industriali. Gli esempi più classici possono essere quelli relativi alla fabbricazione di saponi, di vernici o anche in qualità di veri e propri combustibili, senza dimenticare gli scopi farmaceutici: in tal caso, bisogna fare riferimento alla preparazione di olii medicati come quello canforato, quello fosforato e quello di camomilla, oltre agli unguenti e ai linimenti vari. I residui industriali si presentano sostanzialmente sotto tre diverse forme.

La prima è quella della sansa, con una percentuale di recupero che va da un minimo del 6 fino a un massimo del 12%. Per ottenere ciò si sfruttano dei solventi come il solfuro di carbonio. La morchia, al contrario, può essere più o meno ricca di olio e un tempo risultava molto utile per gli utilizzi agricoli, dato che era sfruttata come concime naturale e come alimento per integrare il classico mangime degli animali. La terza forma di residuo è quella che viene definita solitamente come un olio molto scadente. Non è un caso che il suo nomignolo sia quello di olio o acqua d’inferno.

In pratica, questo liquido dal colore nerastro si ricava all’interno delle vasche di decantazione degli oleifici (anch’esse chiamate “vasche dell’inferno”). Esso è formato dalle acque di vegetazione delle olive e da quelle di lavaggio degli attrezzi; inoltre, il liquido in questione contiene anche una piccola quantità di olio rancido e maleodorante che, una volta raccolto, viene utilizzato in saponeria. Le acque rimanenti, piuttosto rancide, sono neutralizzate con la calce e sono poi impiegate come fertilizzanti chimici. Tra l’altro, l’olio d’inferno viene convogliato di solito in un locale sotterraneo all’oleificio e lasciato riposare per alcune settimane.