Storia dell’industria tessile: il filatoio “bolognese”

Uno dei filatoi industriali più famosi nel nostro paese è passato alla storia come “bolognese”: si tratta, in realtà, di un errore, visto che venne sicuramente ideato e inventato nella città di Lucca nel XII secolo. Questa invenzione, inoltre, non può essere attribuita a una sola persone. Come accade spesso per le innovazioni tecniche e in particolare quelle di quel periodo, questo filatoio non fu altro che il frutto di una serie di successivi esperimenti e miglioramenti compiuti da abili artigiani, i quali, nelle loro botteghe, univano la pratica manuale alla riflessione teorica.

In quell’epoca, infatti, si utilizzavano moltissime macchine idrauliche, ma questo macchinario fu senza dubbio la creazione più perfezionata in assoluta, un gioiello capace di sfruttare la forza dell’acqua per sostituire moltissime maestre filatrici, grazie soprattutto al suo movimento di centinaia di coppie di fusi e di aspi. Senza dubbio, il filatoio “bolognese” fece la fortuna di una città toscana, dato che Lucca divenne in questa maniera il centro più fiorente dell’intero continente europeo per quel che concerne la lavorazione della seta. Tra l’altro, la fama dei tessuti lucchesi si estese e diffuse in tutto il mondo conosciuto e furono proprio questi ultimi a vestire i nobili, la ricca borghesia e i principi del tempo. Questo filatoio, infatti, non consentiva soltanto un grande aumento di produzione con un contemporaneo risparmio di manodopera e il relativo abbassamento dei costi, ma permetteva anche di migliorare la qualità del filato.

Col passare degli anni, però, qualcuno era riuscito a installare anche a Modena uno strumento industriale simile, anche perché alcuni cittadini, come delle vere e proprie spie industriali dei giorni nostri, ne avevano rubato i disegni e i progetti. La contesa tra Bologna e Modena fu sanguinosa proprio per questo motivo, ogni città ambiva alla leadership industriale, anche perché si puniva con la condanna a morte la diffusione dei disegni stessi. Nel ‘500, questi ultimi arrivarono a Como e nel ‘700 divennero di dominio pubblico.