La funzione delle cosiddette “protezioni” è di estrema importanza per quel che riguarda l’assicurazione dell’incolumità delle macchine e degli impianti elettrici insidiati da diverse cause di guasto. A seconda delle esigenze, quindi, le protezioni sono in grado di controllare delle grandezze elettriche, fisiche, meccaniche, chimiche e molte altre: inoltre, sono capaci di intervenire nel momento in cui le grandezze che sono sotto controllo raggiungono i valori di taratura degli apparecchi rilevatori. La determinazione delle protezioni stesse che devono essere inserite all’interno di un circuito va comunque fatta con estrema oculatezza, conoscendo a fondo quelle che sono le esigenze di funzionamento e di inserzione delle macchine e degli impianti, sia nelle condizioni di normale esercizio che in quelle relative a dei possibili sovraccarichi occasionali o disservizi di varia natura.
Tubi fluorescenti a catodo freddo
La denominazione di tubi fluorescenti a catodo freddo può sembrare fin troppo articolata e complessa, ma in realtà si tratta della definizione più giusta per degli strumenti che vengo impropriamente chiamati “tubi al neon”. Dal momento delle loro prime applicazioni a scopo di reclame pubblicitaria, essi sono poi divenuti i veri dominatori del settore delle insegne e delle pubblicità luminose. Alcune precisazioni industriali sono comunque necessarie. In effetti, le applicazioni che vengono utilizzate al solo fine di ottenere l’illuminamento sono piuttosto limitate, contrariamente a quanto si pensa, anche perché c’è un minor rendimento rispetto a quello che si avrebbe con le lampade fluorescenti a bassa e media tensione.
Le lampade a vapori di sodio e mercurio
Le lampade a vapori di sodio e di mercurio rappresentano la soluzione caratteristica e tipica per l’illuminazione industriale destinata ai grandi capannoni, ai piazzali e ai depositi. Nell’illuminazione pubblica, poi, oltre a un sempre più esteso impiego di lampade a bulbo fluorescente, si è diffuso l’impiego di questi strumenti, a causa soprattutto della loro elevata efficienza e della loro luce gialla: in effetti, il classico utilizzo del passato, ma anche adesso è ben diffuso, è rappresentato dagli incroci stradali e questa colorazione consente agli automobilisti di comprendere che c’è un avviso di pericolo.
I quadri di chiamata a cartellini
Bene o male, tutti conosciamo i dispositivi con cui si timbrano i cartellini lavorativi, ma come funzionano esattamente dal punto di vista industriale? Questi impianti di chiamata del personale di servizio sono praticamente indispensabili nei grandi appartamenti, negli alberghi, nelle scuole e università, ma anche negli uffici, negli ospedali e nei complessi che sono destinati alla comunità: essi consistono, in pratica, di un insieme di pulsanti di chiamata (ecco da cosa deriva la denominazione) che vengono installati nei vari locali e di un complesso di cartellini segnalatori centralizzati in uno o più quadri, i quali sono situati nei locali in cui di solito si trattiene il personale chiamato.
Utensili per filettare: i maschi
Tra i vari utensili per filettare meritano un cenno particolare i maschi. Le categorie tipiche di questi ultimi sono due, vale a dire i maschi a progressione di conicità tipo C e a i maschi a progressione di conicità e di diametro tipo R. I denti della parte conica sono degli sbozzatori; nella parte cilindrica troviamo invece i finitori. Nel caso del tipo C, la serie di tre maschi ha un imbocco conico la cui apertura va aumentando in maniera progressiva: il primo interessa circa due terzi della parte filettata, il secondo un altro terzo e l’ultimo si limita a due soli ordini di denti. La parte cilindrica, inoltre, raggiunge lo stesso diametro in tutti e tre i casi. Sono altrettanti anche gli scenari che si possono presentare.
Dispositivi di sostegno: le pinze di chiusura e avanzamento
Il primo dispositivo che può essere spiegato nel suo funzionamento è la pinza per l’avanzamento e la chiusura della barra. Queste pinze vanno scelte con estrema cura, in particolare prestando la massima attenzione al diametro e al profilo della barra stessa: la distinzione comunque riguarda due tipologie specifiche, vale a dire le pinze di chiusura e quelle per l’avanzamento. Nel primo caso, il dispositivo agisce per trazione oppure per compressione, tutto dipende ovviamente dalla categoria delle costruzioni; esse sono capaci di bloccare la barra entro il mandrino. Le pinze per l’avanzamento, invece, provvedono appunto a far avanzare la barra nel momento in cui la pinza di chiusura è ancora aperta, ritornando poi nella posizione primitiva andando a scorrere sulla barra.
Fusione dei metalli: il cubilotto
Il cubilotto, tipico forno a cupola e a manica, viene caricato dall’altro mediante un’apposita bocca, alternativamente al metallo che deve essere fuso e al combustibile (coke metallurgico).
In questo caso, l’aria di combustione viene ad essere immessa attraverso un’opportuna tubazione: ci si trova, infatti, a una certa altezza sopra il fondo (suola) in una camera che circonda il tino e va a sbloccare nell’interno con gli ugelli. A una altezza di circa 500-800 millimetri, sempre al di sopra degli stessi ugelli, poi, si ottiene la massima temperatura possibile, con la ghisa che fonde e scende nel crogiolo, per uscire successivamente dal foro di colata. Il cubilotto può essere sostanzialmente di due tipi, vale a dire semplice o con un avanforno.
Procedimenti di fonderia: la formatura
Il materiale più comune della formatura è senza dubbio la cosiddetta “terra di fonderia”, la quale viene preparata con terra di cava.
Essa è costituita da un sostegno quarzoso (silice) e da argilloide che funge da legante e dà coesione e plasticità, una volta che è stata umidificata: le terre e sabbie sono provate nella loro refrattarietà, permeabilità e coesione a un certo grado di umidificazione. La terra proveniente dalla cava viene sottoposta poi a una serie di trattamenti meccanici, come l’addizione di terra vecchia (preventivamente depurata dalla presenza di corpi estranei attraverso macchine lanciaterra e elettroseparatori magnetici), la triturazione con molazze, la setacciatura e l’inumidimento.
Taglio dei metalli: l’elettrocorrosione
L’elettrocorrosione si ottiene attraverso degli specifici utensili, sagomati secondo la forma della superficie che si desidera.
Questi stessi utensili, inoltre, rimanendo immersi in un apposito fluido, per lo più petrolio, vengono spinti contro il pezzo da lavorare; nel contempo, un condensatore viene caricato attraverso la corrente elettrica e si scarica con degli archi tra lo strumento, sempre negativo, e il pezzo che necessita di essere lavorato, il quale è invece sempre positivo. La frequenza di scarica va monitorata costantemente visto che è davvero molto elevata, pari anche a centomila hertz. L’arco voltaico, poi, produce una vera e propria asportazione di materiale, la quale è maggiore nell’anodo e minore al catodo, nel caso in cui essi dovessero presentare la stessa composizione.
Generatori di vapore: il tiraggio forzato
Nell’ambito della generazione di vapore, il tiraggio forzato è sicuramente indispensabile per le basse temperature dei fumi, ma anche per altezze di camini insufficienti, per le combustioni molto attive e per l’impiego di combustibili cosiddetti “minuti”.
A sua volta questo stesso tiraggio può essere di vari tipi: esaminiamoli nel dettaglio. Anzitutto, il tiraggio aspirato si ottiene aspirando appunto i fumi alla loro uscita dall’apparecchio di utilizzazione o per mezzo di un getto di vapore prelevato dalla caldaia (locomobili e locomotive); in alternativa, si possono sfruttare i ventilatori, dando vita quindi al tiraggio meccanico. Il ventilatore, infatti, è in grado di aspirare l’intera massa dei fumi e di scaricarla direttamente nell’atmosfera mediante il camini, ma può anche aspirarne una parte e lanciarla nel camino stesso attraverso una strozzatura, trascinando la parte rimanente (in questo caso si parla di “tiraggio indotto”).